Che cosa succede quando una donna che lavora scopre di essere incinta e lo deve comunicare all’azienda? Molto spesso questa comunicazione viene temuta. Come mai? Quali sono le risposte tipiche delle aziende? Sono tutte domande che, immagino come moltissime donne, mi sono fatta anche io quando ho scoperto di mia figlia.
Secondo la normativa vigente, il congedo di maternità è un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per un periodo di 5 mesi che precede e segue il parto.
In genere comincia due mesi prima del parto e termina tre mesi dopo, tuttavia vi è una certa flessibilità[1]. Tant’è che questo periodo può eventualmente essere prolungato di altri 6 mesi.
Le lavoratrici in congedo percepiscono un’indennità economica pari all’80% della retribuzione, che scende al 30% se decidono di prolungarne la durata oltre i 5 mesi.
Spesso le lavoratrici madri vengono percepite come meno produttive. Anche perché molte aziende tendono a farsi un preconcetto unilaterale ed errato secondo il quale l’unica priorità della donna in gravidanza sia a quel punto la sua famiglia.
Ecco cosa è successo quando ho comunicato di essere incinta
È stato così anche per l’azienda in cui lavoravo. Si era convinta infatti che io volessi disinvestire nella mia carriera professionale e mi ha quindi rimossa dal main project di cui mi stavo occupando cambiando atteggiamento nei miei confronti.
Di fronte a questo scenario, al mio rientro ho deciso di andarmene. Se ahimè le aziende non rispettano valori come l’inclusività e non adottano politiche eque, devono a quel punto anche accettare che alcuni loro talenti vadano via.
Partendo proprio da questa vicenda che mi ha coinvolta personalmente, mi sono chiesta: come cambiare situazioni come queste? Quali strumenti ci sono per favorire un atteggiamento e una cultura diversa?
4 consigli per gestire al meglio il rapporto azienda – lavoratrice in maternità
Ecco quindi alcune indicazioni che possono favorire la comunicazione tra l’azienda e le lavoratrici in attesa e permettere di vivere la maternità più tranquillamente [1, 2]:
- Avere un dialogo e un ascolto empatico: è molto importante che vi sia un dialogo tra l’azienda e la professionista per negoziare la migliore soluzione per entrambe le parti. Non bisogna evitare il dialogo per timore o perché considerato un tabù per motivi di privacy. Non dialogando si creano attribuzioni errate sull’altro portando a un disallineamento e a un’incomprensione reciproca dei bisogni.
- Proattività e collaborazione:La donna deve essere proattiva e propositiva nella decisione senza dover aspettare che sia l’azienda a scegliere per lei. La professionista deve aiutare l’azienda a capire come e con chi sostituirla. L’azienda, dal canto suo, dovrà ascoltare le richieste cercando di essere il più flessibile possibile. Infine, la tempestività nel comunicare sia la gravidanza che il rientro previsto è molto apprezzata dall’azienda che ha quindi tempo di organizzarsi.
- Essere partner: una donna incinta non è un’antagonista rispetto all’azienda, bensì una partner. L’azienda non deve essere vista come un nemico, anzi. Se la si considera come partner diventa anche un proprio interesse quello di non creare problemi come, ad esempio, atteggiamenti e comportamenti non collaborativi se non addirittura scorretti.
- Rimanere in contatto: è fondamentale che la donna in maternità rimanga in contatto con l’azienda in modo da rimanere informata sulle novità ed eventuali nuove dinamiche che si vengono a creare. Definire un timing preciso in cui aggiornare la professionista è una buona strategia per prevenire un senso di estraniamento al suo ritorno. Chiaramente bisogna ricordarsi che è in maternità e che quindi non va coinvolta in maniera invasiva o totalizzante nell’operatività. L’azienda deve continuare a confrontarsi nella giusta misura con la lavoratrice, senza escluderla, evitando ad esempio di sospendere momentaneamente l’uso di mail e telefono aziendali.
Un percorso di cambiamento culturale
Il lavoro e la famiglia sono due priorità distinte, ma allo stesso tempo entrambe fondamentali per la realizzazione di molte donne: l’una non dovrebbe escludere l’altra. Nonostante la legge tuteli la donna, i rapporti umani non si lasciano regolare dalle normative. Ecco perché nella vita reale poi possono insorgere disallineamenti e conflitti.
Credo sia importante mettere uno stop a situazioni che possono sfociare nella discriminazione e nella non inclusività. Stereotipi e cliché sono, nella maggior parte dei casi, radicati nella cultura aziendale, anche del nostro Paese. Eppure, questo non ci deve far paura, perché comprendere e gestire certe logiche è il primo passo per determinare un cambiamento.
Le donne costituiscono almeno la metà dei talenti disponibili per le aziende. Tanto più esse vengono valorizzate, tanto maggiore sarà il numero di competenze utilizzate per contribuire alla produttività, allo sviluppo e successo di un’azienda.
Bisogna gettare dei semi, sia nelle piccole che nelle grandi realtà lavorative; semi che aiutino tutti gli altri a riflettere e a innescare un cambiamento positivo.
Facciamolo insieme! Lo dico in primis a tutte quelle donne che faticano il doppio per poi vedersene riconosciuto la metà. Iniziamo ad attivarci e ad aprire noi la strada. Che ne pensate?
[1] Se il medico acconsente, si può andare in congedo da 1 mese prima del parto, e trascorrerne 4 con il neonato.